
(…pensare che avevo scritto quest’intervento prima della conferenza di oggi pomeriggio sullo sviluppo locale, con molto piacere ho scoperto che il tema interessa ed apre nuove opportunità di confronto)
Mi sembra utile lanciare una discussione sulla teoria del “paradigm shift”.
Direi anzi, che oltre ad essere un buon argomento di confronto potrebbe essere considerato il vertice di una nostra dichiarazione di intenti, semmai avessimo degli intenti comuni e semmai volessimo, un giorno, radunare varie e nuove coscienze attorno ad essi. A mio avviso lo studio e l’approccio a nuove ed esaltanti teorie sarebbe vano se la nostra generazione di urban planners si limitasse ad imitare o, peggio ancora, a rattoppare le falle del paradigma “corrente”.
Per Thomas Kuhn, l’epistemologo teorico del “paradigm shift”, a differenza di quel che si pensava in passato, la Scienza non procede seguendo un moto evolutivo e la sua Storia non è altro che un susseguirsi di paradigmi dominanti e di rivoluzioni scientifiche. Nel paradigma gli scienziati cercano di far emergere dei problemi e di formulare delle soluzioni con le idee e le teorie accettate, se questi strumenti non bastano si registrano delle anomalie. L’accumulazione di anomalie porta al tentativo di capire il fenomeno in un modo completamente diverso. Nuovi approcci della comunità scientifica o l’affermarsi di una nuova comunità che guarda al problema in modo alternativo, può dare origine ad un altro paradigma. Il processo di transizione dalla “scienza normale” alla scienza rivoluzionaria e l’affermazione di quest’ultima porta all’affinarsi di costrutti teorici incommensurabili con i precedenti. È solitamente per quest’ultimo motivo che la nuova comunità scientifica fatica fortemente a confrontarsi con la precedente.
La interessante teoria di Kuhn è stata estesa a vari altri campi. La politica e la società ad esempio sono influenzate dal paradigma e a loro volta ne possono creare di nuovi sfruttando qualsiasi strumento a loro disposizione: mezzi di comunicazione di massa, denaro, o ad esempio l’ educazione scolastica. Scelgono di supportare o bombardare un paradigma a seconda delle dinamiche contemporanee.
Il paradigma è insomma un insieme di credenze, una massa fluida di problemi&soluzioni che nella vita di tutti i giorni diamo per scontate ed immutabili. Adesso, alzate gli occhi e pensate a come fareste senza tutto quello che state percependo come reale. Ora, invece, chiudete gli occhi e risalite alla causa prima dei vostri impegni giornalieri o delle vostre pulsioni esistenziali. Così facendo state appena appena stuzzicando il paradigma corrente.
Il perché questo possa interessare noi, oltre che come uomini e donne, anche come pianificatori, è presto detto: mi pare infatti che la città cresca anch’essa per paradigmi e sull’onda di possenti sistemi logici si creano consensi e possibilità di trasformazione territoriale. Volendo essere ancora più concreti e senza troppo scomodare secoli e secoli di cultura urbana, nella storia delle città italiane, dal Dopoguerra ad oggi, è possibile scorgere i diversi modi di interpretare la realtà e di concepire l’habitat ideale che si sono alternati con cadenza rivoluzionaria quasi decennale.
Nei nomi e negli slogan, ormai sedimentati nelle nostre memorie, possiamo cogliere lo strascico della propaganda che queste idee portavano con se.
Le zone di espansione, la mobilità individuale, lo zoning, gli assi attrezzati, i quartieri satellite, le sopraelevate, le tangenziali, i sottopassi, i centri commerciali, i residence, il policentrismo… tutti strumenti operativi o teorici forti (di cemento armato e d’acciaio) e collaudati, che, se non considerati troppo vintage, oggi utilizziamo con disinvoltura e un automatismo quasi istintivo, animale. Ma, pur sempre, strumenti teorizzati da una generazione di intellettuali, di professionisti e di policy makers che si trovarono a supportare le “loro” visioni nel tentativo di condurle all’egemonia culturale. Le scintille di tale pulsione scaturivano, oggi come ieri, forse dalla voglia di successo professionale, forse dal denaro, forse dall’amore per un uomo o per una donna, fatto sta che il fuoco da loro generato divampa sempre su tutto e ha generato cancrene urbane difficili da curare.
È infatti molto interessante costatare come tale “effetto pervasivo” del paradigma tappi occhi ed orecchie di fronte ad ogni notifica dei limiti offerti dalle più comuni leggi della fisica o della socialità, provocando l’incoerente perpetrarsi di schemi desueti e dannosi nell’organizzazione della produzione così come in quella del territorio e della società. L’effetto è talmente pervasivo che delle volte non ci poniamo nessun interrogativo sullo svolgere o meno un’ azione, sul firmare o meno un documento, sul tracciare o meno una riga (che nel nostro caso sarà una strada, un ponte, un muro …). Senza nessuna reticenza progettiamo case a schiera monofamiliari color beige e decidiamo in quale zona si svolgerà l’educazione, in quale germoglierà il verde, dove sarà la residenza e dove il lavoro, proponiamo riqualificazioni alcooliche per i centri urbani abbandonati e disegniamo parcheggi, parcheggi dappertutto. (Senza essere pagati … ma questo è un altro paradigma …)
Credo che mai come in questo periodo ci sia un così profondo abisso tra pratica professionale e teoria urbana. Tra i gruppi di imprenditori e studiosi. Tra i think tank internazionali o globali e i governi degli stati nazionali. È sicuramente molto interessante osservare gli effetti di questi attriti, annotarli e poterli, con perizia, visualizzare nel Tempo e nella Storia ma credo sia veramente più interessante, seguendo la lezione di Kuhn, partecipare con idee radicali alla elaborazione di nuovi strumenti e di nuovi rapporti nel reale. Credo sia comunque possibile ritagliare un po’ di tempo e di spazio per esercitarci ad essere liberi di immaginare un habitat e una società lontani dai burocratici desideri delle “magnifiche sorti e progressiste”, tastandone la fattibilità con un metro che non sia necessariamente matematico ma piuttosto esperienziale. L’utilità di tale sperimentazione non è banale e potrebbe se non altro allenare alla indipendenza del pensiero progettuale e alla creazione di nuovi ed originali approcci alla società, alla natura e all’economia, che abbiano sempre caratteri modellati sul territorio in cui operiamo.
Spesso mi chiedo se anche voi ne sentite il bisogno. E se non pensate che forse si potrebbero usare gli strumenti a nostra disposizione (zone franche virtuali, disegno, software, inchiostro, esercitazioni accademiche, conferenze …) per alzare i livelli di questo scontro fra teorie e scagliare i nostri nuovi discorsi contro le anomalie di cui abbiamo esperienza quotidianamente, contrastando la riproduzione ed il perpetrarsi di schemi superati ed obsoleti.
Ecco, forse questo potrebbe essere uno dei nostri intenti in comune.