domenica 14 febbraio 2010

Una muffa può aiutarci a disegnare trasporti urbani più efficienti?


Nel 2000 lo scienziato Toshiyuki Nakagaki, vincitore di un premio Nobel, ha dimostrato la straordinaria capacità di problem solving della muffa Physarum polycephalum. L’organismo cresce solitamente in ambienti freschi ed ombreggiati come le foglie in decomposizione e i tronchi. La muffa ha dimostrato di essere dotata di una intelligenza quasi primitiva ed di una capacità di auto-organizzazione che ha subito appassionato molti studiosi. Sono stati fatti vari esperimenti il più interessante dei quali è senza dubbio quello del labirinto. Posizionando del cibo nelle due uscite di un labirinto gli scienziati hanno osservato come la muffa raggiunge le uscite (e il cibo) con i suoi tentacoli passando sempre per la strada più breve. Inizialmente partono diversi tentacoli in tutte le direzioni, quelli che raggiungono il cibo si rafforzano e presentano una autonomia particolare rispetto al nucleo centrale. Tutti gli altri si ritraggono, definendo con chiarezza dei percorsi privilegiati.
Dopo aver sperimentato tale particolare abilità gli scienziati, volendo valutare la possibilità che la muffa possa "da sola" disegnare la rete dei trasporti di una città, hanno realizzato in laboratorio un esperimento mettendo un pò di muffa su una mappa in miniatura di Tokyo e posizionando del cibo (chicchi di mais) nei nodi principali della metropoli giapponese. In poco più di 24 ore la muffa ha raggiunto tutti i chicchi di mais con i suoi tentacoli, il risultato è stato molto interessante. I tentacoli hanno riprodotto infatti la rete di collegamenti ferroviari (esistenti) della città di Tokyo. Questo risultato apre nuove opportunità di ricerca e soprattutto la possibilità di applicare la particolare capacità della Physarum polycephalum a software che aiutino i tecnici che devono valutare i costi e l'efficienza dei piani di trasporto delle metropoli contemporanee.
Questo è un affascinante e furbo esempio di come l'uomo possa ancora imparare dall'osservazione della natura e dei suoi organismi.

fonti:
rivista Science numero del 22 gennaio 2010 www.sciencemag.org

martedì 9 febbraio 2010

Gli stabili pericolanti di via Giustiniano Imperatore: un caso di emergenza abitativa


La zona di via Giustiniano Imperatore a Roma è interessata, fin da quando è stata urbanizzata negli anni 50, da gravi dissesti e cedimenti del terreno che negli anni hanno causato l’inclinazione di diversi stabili nell’area, con tutti i problemi di precarietà statica che ne conseguono.
Nel novembre 2001, dopo una diffida da parte della Commissione Stabili Pericolanti indirizzata agli amministratori dei condomini affinché procedessero ai lavori di consolidamento, e in seguito ad una verifica dello stato dei fabbricati da parte dei dipartimenti di Geologia e Ingegneria dell’università Roma Tre, l’ allora sindaco Veltroni, in quanto autorità della protezione civile per il comune di Roma, emette un’ordinanza di sgombero per uno degli edifici: alle 50 famiglie sgomberate viene offerta un’abitazione provvisoria di edilizia popolare in località Santa Palomba (Pomezia).
Nel 2004, in seguito all’improvviso peggioramento delle condizioni di un secondo edificio, il sindaco emette una seconda ordinanza di sgombero e richiede, ed ottiene dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri lo Stato di Emergenza dell’area, in virtù della quale all’amministrazione e all’assessore all’urbanistica vengono conferiti poteri speciali.
Il comune indice così un appalto-concorso per il progetto di riqualificazione dell’area, vinto dallo studio svizzero DurigAgArchitects.
Nel 2005 il VI Dipartimento (Politiche della Programmazione e pianificazione del territorio) del Comune di Roma redige un Programma di riqualificazione dell’area dai contenuti sostanzialmente inediti in Italia: per la prima volta infatti il comune si fa carico di un’operazione di demolizione e sostituzione di edilizia privata. Il comune, espropriate le aree, le cede tramite bando a privati che costruiscono le nuove case da cedere ai cittadini sgomberati a prezzo concordato (circa 950 euro/mq): gli alloggi in eccesso possono poi essere venduti a prezzi di mercato. Agli aiutiprevisti dal programma possono accedere i proprietari di tutti i condomini interessati dal progetto, purché riuniti in consorzio costituito da almeno il 75% degli inquilini. Data prevista per la consegna del primo blocco di nuove case per gli inquilini già sgomberati: 2008 (ad oggi, gennaio 2010, i lavori non sono ancora finiti)
Al fine dell’informazione e partecipazione dei cittadini il comune allestisce già nel 2003 un Infobox nell’area per comunicare il progetto e organizzare incontri con i cittadini.
I Risultati
Dal punto di vista dell’amministrazione, quest’emergenza rappresenta un’occasione per riqualificare l’area senza spese per le casse comunali. Ma l’operazione contribuirà anche al più generale processo di valorizzazione delle zone che gravitano intorno all’asse della via Ostiense (Garbatella, San Paolo, Testaccio...), su cui il Comune, che qui possiede molte aree e grandi interessi, punta da anni con progetti ambiziosi (la Città delle arti a Testaccio, il polo tecnologico di Roma Tre a Valco San Paolo, il Campidoglio2 ela Città dei giovani a via Ostiense…)
Per i privati, c’è il guadagno che deriverà dalla vendita a prezzi di mercato dei tanti alloggi in eccesso previsti dal progetto, oltre che di quelli di cui gli inquilini sgomberati non si potranno permettere l’acquisto.
Gli inquilini, appunto. Quali diritti gli spettino effettivamente, non è ancora chiaro. Di certo c’è che l’assegnazione dei nuovi alloggi non è automatica ma onerosa. Che ne sarà di chi non potrà permettersi la nuova casa nonostante le agevolazioni? Per il momento gli inquilini degli edifici che rimangono si dividono: da una parte i pochi interessati alle possibilità che il comune gli offre di cambiare la loro casa con una nuova e più sicura (ma per usufruirne devono essere il 75% del totale), dall’altra i tanti, tra cui l’associazione “Vivere sulla Marrana” che protestano contro il programma e denunciano i rischi di compromissione delle fondamenta causati dai lavori per i nuovi alloggi.

Fonti:
-www.protezionecivilecomuneroma.it/sito/pagine/attivita/giustiniano_imperatore.htm
- Clarida Salvatori, “Palazzi storti. Via alla demolizione” da La Repubblica del 02/08/05
- Fabio Rossi, “Giustiniano Imperatore. Via alla demolizione” da Il Messaggero del 02/08/05
- Barbara d’Amico, “Quella storiaccia brutta dei palazzi storti” da Rivist@, 19/03/07
- Barbara d’Amico, “L’associazione Vivere sulla Marrana contro il tentativo di demolizione” da Rivist@, 02/04/07
- www.urbanistica.comune.roma.it/giustinianoimperatore/index.html

giovedì 4 febbraio 2010

Sui paradigmi


(…pensare che avevo scritto quest’intervento prima della conferenza di oggi pomeriggio sullo sviluppo locale, con molto piacere ho scoperto che il tema interessa ed apre nuove opportunità di confronto)

Mi sembra utile lanciare una discussione sulla teoria del “paradigm shift”.
Direi anzi, che oltre ad essere un buon argomento di confronto potrebbe essere considerato il vertice di una nostra dichiarazione di intenti, semmai avessimo degli intenti comuni e semmai volessimo, un giorno, radunare varie e nuove coscienze attorno ad essi. A mio avviso lo studio e l’approccio a nuove ed esaltanti teorie sarebbe vano se la nostra generazione di urban planners si limitasse ad imitare o, peggio ancora, a rattoppare le falle del paradigma “corrente”.
Per Thomas Kuhn, l’epistemologo teorico del “paradigm shift”, a differenza di quel che si pensava in passato, la Scienza non procede seguendo un moto evolutivo e la sua Storia non è altro che un susseguirsi di paradigmi dominanti e di rivoluzioni scientifiche. Nel paradigma gli scienziati cercano di far emergere dei problemi e di formulare delle soluzioni con le idee e le teorie accettate, se questi strumenti non bastano si registrano delle anomalie. L’accumulazione di anomalie porta al tentativo di capire il fenomeno in un modo completamente diverso. Nuovi approcci della comunità scientifica o l’affermarsi di una nuova comunità che guarda al problema in modo alternativo, può dare origine ad un altro paradigma. Il processo di transizione dalla “scienza normale” alla scienza rivoluzionaria e l’affermazione di quest’ultima porta all’affinarsi di costrutti teorici incommensurabili con i precedenti. È solitamente per quest’ultimo motivo che la nuova comunità scientifica fatica fortemente a confrontarsi con la precedente.
La interessante teoria di Kuhn è stata estesa a vari altri campi. La politica e la società ad esempio sono influenzate dal paradigma e a loro volta ne possono creare di nuovi sfruttando qualsiasi strumento a loro disposizione: mezzi di comunicazione di massa, denaro, o ad esempio l’ educazione scolastica. Scelgono di supportare o bombardare un paradigma a seconda delle dinamiche contemporanee.
Il paradigma è insomma un insieme di credenze, una massa fluida di problemi&soluzioni che nella vita di tutti i giorni diamo per scontate ed immutabili. Adesso, alzate gli occhi e pensate a come fareste senza tutto quello che state percependo come reale. Ora, invece, chiudete gli occhi e risalite alla causa prima dei vostri impegni giornalieri o delle vostre pulsioni esistenziali. Così facendo state appena appena stuzzicando il paradigma corrente.
Il perché questo possa interessare noi, oltre che come uomini e donne, anche come pianificatori, è presto detto: mi pare infatti che la città cresca anch’essa per paradigmi e sull’onda di possenti sistemi logici si creano consensi e possibilità di trasformazione territoriale. Volendo essere ancora più concreti e senza troppo scomodare secoli e secoli di cultura urbana, nella storia delle città italiane, dal Dopoguerra ad oggi, è possibile scorgere i diversi modi di interpretare la realtà e di concepire l’habitat ideale che si sono alternati con cadenza rivoluzionaria quasi decennale.
Nei nomi e negli slogan, ormai sedimentati nelle nostre memorie, possiamo cogliere lo strascico della propaganda che queste idee portavano con se.
Le zone di espansione, la mobilità individuale, lo zoning, gli assi attrezzati, i quartieri satellite, le sopraelevate, le tangenziali, i sottopassi, i centri commerciali, i residence, il policentrismo… tutti strumenti operativi o teorici forti (di cemento armato e d’acciaio) e collaudati, che, se non considerati troppo vintage, oggi utilizziamo con disinvoltura e un automatismo quasi istintivo, animale. Ma, pur sempre, strumenti teorizzati da una generazione di intellettuali, di professionisti e di policy makers che si trovarono a supportare le “loro” visioni nel tentativo di condurle all’egemonia culturale. Le scintille di tale pulsione scaturivano, oggi come ieri, forse dalla voglia di successo professionale, forse dal denaro, forse dall’amore per un uomo o per una donna, fatto sta che il fuoco da loro generato divampa sempre su tutto e ha generato cancrene urbane difficili da curare.
È infatti molto interessante costatare come tale “effetto pervasivo” del paradigma tappi occhi ed orecchie di fronte ad ogni notifica dei limiti offerti dalle più comuni leggi della fisica o della socialità, provocando l’incoerente perpetrarsi di schemi desueti e dannosi nell’organizzazione della produzione così come in quella del territorio e della società. L’effetto è talmente pervasivo che delle volte non ci poniamo nessun interrogativo sullo svolgere o meno un’ azione, sul firmare o meno un documento, sul tracciare o meno una riga (che nel nostro caso sarà una strada, un ponte, un muro …). Senza nessuna reticenza progettiamo case a schiera monofamiliari color beige e decidiamo in quale zona si svolgerà l’educazione, in quale germoglierà il verde, dove sarà la residenza e dove il lavoro, proponiamo riqualificazioni alcooliche per i centri urbani abbandonati e disegniamo parcheggi, parcheggi dappertutto. (Senza essere pagati … ma questo è un altro paradigma …)
Credo che mai come in questo periodo ci sia un così profondo abisso tra pratica professionale e teoria urbana. Tra i gruppi di imprenditori e studiosi. Tra i think tank internazionali o globali e i governi degli stati nazionali. È sicuramente molto interessante osservare gli effetti di questi attriti, annotarli e poterli, con perizia, visualizzare nel Tempo e nella Storia ma credo sia veramente più interessante, seguendo la lezione di Kuhn, partecipare con idee radicali alla elaborazione di nuovi strumenti e di nuovi rapporti nel reale. Credo sia comunque possibile ritagliare un po’ di tempo e di spazio per esercitarci ad essere liberi di immaginare un habitat e una società lontani dai burocratici desideri delle “magnifiche sorti e progressiste”, tastandone la fattibilità con un metro che non sia necessariamente matematico ma piuttosto esperienziale. L’utilità di tale sperimentazione non è banale e potrebbe se non altro allenare alla indipendenza del pensiero progettuale e alla creazione di nuovi ed originali approcci alla società, alla natura e all’economia, che abbiano sempre caratteri modellati sul territorio in cui operiamo.
Spesso mi chiedo se anche voi ne sentite il bisogno. E se non pensate che forse si potrebbero usare gli strumenti a nostra disposizione (zone franche virtuali, disegno, software, inchiostro, esercitazioni accademiche, conferenze …) per alzare i livelli di questo scontro fra teorie e scagliare i nostri nuovi discorsi contro le anomalie di cui abbiamo esperienza quotidianamente, contrastando la riproduzione ed il perpetrarsi di schemi superati ed obsoleti.
Ecco, forse questo potrebbe essere uno dei nostri intenti in comune.