giovedì 25 marzo 2010
Elezioni regionali 2010_il Lazio
Il report è stato curato da Alice Siracusa e Raffaella Manfredi e pubblicato sul sito di INU Lazio.
http://lazio.inu.it/2010/03/22/urbanistica-mobilita-casa-e-ambiente-nel-lazio-nel-prossimo-quinquennio/
domenica 21 marzo 2010
Il Metropolis

Il Metropolis è un posto incredibile. L’altro giorno al seguito di Andrea ci siamo avventurati in una visita che sarebbe più facile raccontare come un cammino.
Il Metropolis, che tra qualche giorno compie un anno, è la seconda occupazione più grande di Roma.
Nell’ex mattatoio della Fiorucci abitano infatti decine e decine di persone che cercano tutti i giorni di resistere alla precarietà e di ricostruire il proprio mondo. Varie comunità si fronteggiano, si allargano e si riproducono al suo interno.
Il Metropolis è stato occupato da alcuni rom che furono sgomberati dal campo di Centocelle, a loro si sono uniti militanti e altri senza tetto italiani, marocchini, eritrei, peruviani e sudanesi.
Nella sua interezza il complesso, sulla via Prenestina, vicino Tor Sapienza, è composto da due grandi corpi di fabbrica (in rosso e in giallo nella pianta), un hangar (texture scura) e alcune costruzioni: la "casa gialla" e la kasba (in celeste). Il primo edificio della vecchia fabbrica (in rosso) è più piccolo mentre il secondo (in giallo) è caratterizzato da una stratificazione di funzioni e da grandi sale debitamente divise secondo il processo di trattamento e trasformazione della materia prima: la “carne”
Il primo edificio è occupato al piano terra da una comunità di rom. Seguendo un progetto di massima redatto da alcuni architetti, sono stati edificati vari nuclei abitativi all’interno del grande ed alto edificio; appoggiati sulla maglia strutturale originale, muri di forati dipinti di rosso o di viola definiscono spazi comuni e corridoi a “norma” in cui trovano posto attrezzi, cucine e tavoli. Lo spazio esterno, orientato a sud, che prima ospitava un roseto, è utilizzato oggi come grande cortile comune, dove le donne lavano e stendono i panni e i numerosissimi bambini giocano ed imparano a camminare. Un ragazzo ci racconta dei lavori per lo scarico e di quelli fatti per costruire le case. Il dormire in tenda che non rilassa per niente lo spirito e i turni di lavoro che tutti si sono dati per la settimana successiva.
Al piano superiore, nella casa del vecchio padrone, proprio sopra l’area dei laboratori chimici., vive una famiglia di peruviani, ogni vano è diventato una stanza, una casa, un soggiorno. C’è l’accesso al terrazzo: ampio e ben orientato da cui si vede la torre con la scritta Metropolis che domina tutto il paesaggio circostante.
Andrea dice che la fabbrica è un po’ come la foresta per un piccolo villaggio. La sopravvivenza al Metropolis è garantita dalle numerose materie prime che si trovano all’interno della fabbrica, la maggior parte di queste risorse è stata già trafugata da alcuni che poi sono scappati, ma si possono trovare ancora: metalli, scarti, macchinari. Alcuni li rivendono, altri li usano direttamente, altri ancora li lavorano per apportare nuove migliorie al proprio rifugio. Ogni angolo della fabbrica è stato setacciato, scalfito, svuotato; tenendo insieme i vari indizi con l’aiuto della storia di Andrea ho immaginato i furti e i lavori di estrazione del rame dai cavi elettrici.
Il cammino è una fusione di informazioni temporali, storie e storielle che si sono intrecciate, guerre civili, guerre sociali, assedi della polizia e dance hall accanto a Sherwood. In fondo, il Metropolis, potrebbe essere proprio considerato come un ottima e furba esperienza di autorganizzazione urbana, seppure, come dice lo stesso Andrea, è ancora alla sua preistoria.
Il secondo e più grande corpo di fabbrica è oggi utilizzato per le assemblee del collettivo dei Blocchi Precari Metropolitani e dei residenti del Metropolis. All’entrata: il cortile, un braccio di case eritree marcate con la lettera e il numero condominiale, A.2, A.3… e il posto di guardia. Nel portone principale della fabbrica sono state disegnate tutte le bandiere a rappresentanza della nazionalità di ogni inquilino. Entrando nel bell’edificio, chiaramente espressionista, si trova la sede delle assemblee. Il piano superiore è quello in cui sono previsti più progetti per una futura apertura al quartiere della giovane occupazione. Sono previste: una biblioteca, una scuola di lingua e nuove abitazioni. Gli spazi dell’ex-mattatoio sono infatti di ottima fattura e sosterrebbero facilmente un progetto di riuso funzionale. Ogni parte del complesso è stata mappata da Andrea e numerosi calcoli sono stati fatti per garantire a tutti da un minimo di 20 ad un massimo di 60 mq.
Visitando le numerose terrazze e ascoltando la ricostruzione del vecchio processo produttivo pensavo a quante fabbriche vuote possano esserci in giro per Roma, per l’Italia e a quanto sarebbero fieri certi luddisti a vederle così conciate.
Con l’occhio di chi vede cose che non esistono, Andrea ci parlava dei suoi progetti e di quelli che sono stati decisi nelle assemblee. Ogni cosa sembrava anche a me bellissima, impressionato com’ero dalla gentilezza e dal fermento con cui ci accoglievano i vari gruppi che abbiamo incontrato durante la passeggiata.
Nella casa gialla abitano alcuni africani di cui non ricordo la provenienza. Alle finestre hanno messo dei lenzuoli colorati e un’ombra stranamente australe piomba sui pavimenti e le pareti. Al piano terra abita un ucraino. Lo incontriamo indaffarato a montare la sua nuova cucina e sfoggia la scalinata imperiale appena finita di fronte la sua abitazione su Avenida della Libertà.
L’ultimo gruppo che abbiamo incontrato era costituito da alcuni uomini marocchini che cucinavano un montone appena macellato. Abitano nella kasba: un complesso di abitazioni tutte riunite attorno ad un cortile che potrebbe essere arabo. Il montone era appeso all’ingresso del cortile. Andrea ci ha raccontato che quest’estate tutti vedevano il televisore in cortile. E dei contrasti fra le comunità. Gli uomini mangiavano e bevevano vino e agitavano in aria i loro coltelli. Si compiacevano della nostra curiosità e si atteggiavano allegramente.
È stato soprattutto molto interessante sapere che il progetto in cantiere, che prevede come priorità la necessità abitativa, stia considerando alcuni modi di abitare tipici delle culture del Metropolis. Ma ancor più interessante è stato verificare come gli inquilini arredano le proprie camere e le abitazioni ed il posto che sempre di più si materializza come loro casa.
Il nostro cammino si è concluso nel grande spazio verde dove vengono organizzati i concerti della occupazione. Ha un ingresso separato e tutti sono sempre contenti di far festa. Fino a 4000 persone hanno ballato negli spazi occupati del Metropolis, molte altre ancora sono state coinvolte ed informate.
Potrei concludere dicendo che: conoscere esperienze di lavoro e di lotta come queste trasporta in una dimensione di iper-realtà che, evidentemente, riduce qualunque problema in agenda alla basica e necessaria sopravvivenza di se stessi e dei propri familiari. Affrontare problemi come quello della precarietà e del disagio abitativo è una cosa seria e molti hanno trovato metodologie alternative che si stanno sperimentando e che cercano di collaborare al processo descritto qualche post fa del “cambiamento di paradigma”. Quasi ogni cosa al Metropolis è stata negoziata, contesa, messa in discussione. Da poco si è conclusa la guerra civile, e in molti cercano di fare ostruzionismo. Ma si cominciano anche a costruire reti idrauliche e a portare ovunque l’elettricità. I bambini possono andare a scuola e uomini e donne possono lavorare nel quartiere.
La preistoria implica far riferimento a valori diversi e a necessità che spesso si considerano del tutto astratte. Implica sprofondare nell’insicurezza e nella lotta violenta fra i gruppi e prendere consapevolezza del caos.
Tutto può succedere o è già successo al Metropolis.
L.
martedì 16 marzo 2010
Roma 13.03.10
E dopo tutto questo caotico guazzabuglio di "territorio vago" perso tra storie pasoliniane, appare a dominare un' altura come un castello medievale il corpo del Corviale, infinito e perfetto perchè perfetta espressione di un idea di città, di uomo e di governo del territorio. Oggi quel tentativo estremo di porre un limite alla città e di dare un identità di massa ai proletari romani appare come un sogno a mio parere ancora vivo nel contrasto tra il cemento, quegli infissi di metallo rosso e i panni appesi dalle finestre, centinaia di indumenti che danno un colore alla massa infinitamente uguale e ripetitiva del chilometro del Corviale. Oltre questo oggetto, ancora palazzine addossate una all'altra dove veramente tutto si mischia e diventa uguale e claustrofobico.
Il sogno di dare una forma e una fine alla città è probabilmente finito e superato. Non ci sono più i presupposti politici e culturali. Il pubblico non pianifica più il territorio e il bene comune è stato immolato al privato, al mercato e alla speculazione (so che non è proprio così ma un po' di retorica in questi dieci righe ci stava per finire il ragionamento).
Cosa rimane a questa città per sopravvivere ai cambiamenti, alle crisi finanziarie, ai flussi migratori, alle speculazioni e ai grandi capitali che rivoltano il territorio a loro piacimento sempre alla ricerca di terre vergini da sfruttare e da abbandonare?
La crisi che negli anni ottanta e novanta ha portato all'abbandono dei grandi complessi industriali oggi sta colpendo anche il comparto dei servizi. Dal post- fordismo, che ha portato alla trasformazione delle zone industriali della città che come ad esempio il mattatoio sono diventate produttrici di sapere, di cultura e di intrattenimento serale, al post-toyotismo che pone la questione del riuso di nuove aree della città.
A Roma sono centinaia i vani sfitti proprietà di imprese e multinazionali estere che stanno esternalizzando anche i servizi. Un esempio sono i due uffici al via del Policlinico da anni ormai inutilizzati proprietà di un'azienda francese che paga regolarmente solo la sorveglianza per evitare che gli vengano occupati i locali come già successo l'ottobre scorso. Altri esempi si posso
trovare in tutte le periferie romane dove sono molti gli uffici costruiti in aree destinate a servizi praticamente vuoti, o nei distretti produttivi come quello sulla tiburtina di cui l'ex Eutelia occupata da 4 mesi è l'esempio più lampante.
Alla vigilia del nuovo piano casa si pone una questione : favorire una nuova ondata speculatrice che consumi anche gli ultimi spicchi di agro romano o investire nella trasformazione di stabili abbandonati e sfitti per soddisfare la domanda di case? Esiste la possibilità che il comune possa effettivamente acquisire questi stabili per trasformarli in alloggi popolari o in servizi per
la città (così come proposto dai movimenti di lotta per la casa)?
giovedì 4 marzo 2010
Picchetti di Natale

Domenica 20/12/09
Ieri era la giornata più fredda dell'anno, a "Metropolis", la nuova occupazione sulla prenestina che da una settimane ospita 27 famiglie rom sgomberate dal Casilino 700, ho conosciuto Mohamed un simpatico signore sulla cinquantina.
Mohamed è marrocchino e vive in Italia da molti anni ma ancora è in lotta per trovare una casa.
Mohamed mi ha invitato ieri sera al picchetto che porta aventi con altri compagni e compagne dei movimenti di lotta per la casa, il coordinamento e i blocchi precari metropolitani, su via del Policlinico e lo sono andato a trovare.
Lì a via del policlinico ci sono due grandi edifici adibiti a uffici che ora sono completamente sfitti.
Una notte di fine novembre credo, mentre il gurdiano, che controllava gli edifici vuoti, dormiva beatamente, Mohamed e gli altri suoi amici sono entrati dentro uno di questi palazzi sfitti:"... che di devo dì, si stava bene, sembrava una casa vera..." mi racconta Mohamed con una accento misto arabo-romano.
Poi, qualcuno della banda dei soliti ignoti, ha detto: "...e no!!! Non potete sta lì che quer palazzo è mio!!!". Quindi li hanno cacciati hanno murato le aperture dei primi due piani del palazzo e hanno sbattutto per strada quasi 80 persone.
E tanti auguri per un felice natale e un buon anno nuovo al fresco dei marciapiedi o tra i portici di Termini e di piazza Vittorio Emanuele.
Stranamente queste fantastiche persone, che lavorano e mantengono famiglie intere:"... quando c'ha una figlia da mantenè devi magna la merda e di grazie pe avè du soldi a fine mese, io so 8 anni che lavoro tutti i giorni sabato e domenica comprese..." mi racconta Mimmo che si definisce più romano che marrocchino, dicevo, stranamente non ci stanno a dormire e a morire di freddo per strada.
Picchettano ai piedi del palazzo sfitto da cui li hanno sgomberati da almeno dieci giorni, nell'indiferenza totale dei media, troppo intenti a raccontarci quali cazzo di regali faremo, dobbiamo fare e riceveremo e quante stronze palline metteremo sullo strafottuttissimo albero di natale.
Stanno li attorno al fuoco stremati dal lavoro, dal non dormire e dal freddo.
Intorno al fuoco in mezzo a quel marciapiede ai piedi del palazzo ora murato, nell'indiferenza della città, ci sono tutte le notti e tutti i giorni da più di venti giorni, persone, donne e uomini da tutto il mondo, Perù, Equador, Etiopia, Eritrea, Marocco, Senegal, Serbia.
Per combattere il freddo ci siamo fatti un thè con 5 cucchiani di zucchero, Andrea ha portato il vino e molti di loro anche se mussulmani lo hanno sorseggiato: "...tanto Dio lo sa che bevo per scaldarmi e mi perdonerà".
Stasera Mohamed e i suoi compagni e compagne staranno lì per un'altra giornata di lotta da trascorrere tutti insieme intorno al fuoco, cercando di scaldarsi.
Si potrebbe passare lì a trovarli con un 'altra bottiglia di vino, un pò di the e dei biscotti. A loro fa piacere.
"Noi stiamo qui pe voi! Che te credi che la casa me la danno a me che so straniero! Però io lo faccio perchè me lo dice la mia coscienza".
La figlia di Mimmo ha sei anni e parla tre lingue arabo spagnolo e italiano. Nessuno di loro è cittadino italiano ma se un domani ci saranno ancora dei diritti e delle energie fresche pronte a lottare in questa povera città sarà grazie a loro.
L'ultima cosa divertente me la mostra Mohamed un foglio prestampato e timbrato dal comune che li autorizza a stare su quel marciapiede fino al 21 dicembre.
Lunedi 21/12/09
Quando si entra nel palazzo dell'assessorato a via della vergine nella sala convegni la scena è delle più surreali. Da una parte ci sono 300 persone di cui molte donne con bambini piccoli e, davanti a loro, un'immensa tavola imbandita di panettoni, spumanti e leccornie di ogni genere.
Leggo un volantino affisso in bacheca nel corridoio che da agli uffici degli assessori, divisi secondo i diversi partiti: " 21 dicembre festa di auguri per un buon natale e un felice anno nuovo".
I più svegli tra gli impiegati provano a salvare qualche cestino natalizio ma la maggior parte di questi viene fatto prigioniero dagli occupanti che li consumano senza pietà.
Vengono occupati il terzo e il quarto piano dell'edificio. Gli agenti della digos appaiono come per magia e provano a far desistere gli occupanti dalle loro intenzioni " ma perchè rischiate cosi tanto!!! Qui state commettendo un reato! Interruzione del pubblico impiego!".
Detta così non si capisce la folgorante ironia di questa affermazione. Ma dopo poco si capisce e c'è da scompisciarsi dalle risate.
Tutto il giorno per via delle vergini è un via vai di stelle di Natale, pacchi, pacchetti e paccuzzi di regalo.
Le donne che sfilano nel piano del PDL sembrano uscite dal film "la morte ti fa bella", sono un variegato compensario di chirurgia estetica, nasi, zigomi, bocche rifatte, allargate, gonfiate, pelli stirate, capelli trapiantati, etc...
Quelli del PD rimangono rinchiusi nei loro uffici ma sono sicuro di aver sentito uscire da li dentro una canzone di Bob Marley e un vago odorino di ganja! Spilorci some sono non hanno offerto niente.
Solo alcuni della lista Rutelli ci offrono il caffè. Entro nel loro ufficio: tre impiegati, uno fa il caffè l'altro legge la gazzetta ma ha sulla scrivania una pila di giornali sportivi, il terzo fissa lo schermo nero del pc.
E sulle pareti, che ci crediate o no, ci sono bandiere e tappettini con il Ché in primo piano con ai suoi lati foto e poster Totti e Falcao.
Si va avanti tutto il giorno. Gli occupanti sono stremati da 20 giorni di picchetti, molti di loro stanno saltando preziosissime giornate di lavoro. Tutti sperano in una risoluzione rapida.
Solo alle 20 di sera quando io sono già uscito stremato per tornare a casa, che si sa che i picchetti andranno avanti ancora per molto.
Caposh