
Il Metropolis è un posto incredibile. L’altro giorno al seguito di Andrea ci siamo avventurati in una visita che sarebbe più facile raccontare come un cammino.
Il Metropolis, che tra qualche giorno compie un anno, è la seconda occupazione più grande di Roma.
Nell’ex mattatoio della Fiorucci abitano infatti decine e decine di persone che cercano tutti i giorni di resistere alla precarietà e di ricostruire il proprio mondo. Varie comunità si fronteggiano, si allargano e si riproducono al suo interno.
Il Metropolis è stato occupato da alcuni rom che furono sgomberati dal campo di Centocelle, a loro si sono uniti militanti e altri senza tetto italiani, marocchini, eritrei, peruviani e sudanesi.
Nella sua interezza il complesso, sulla via Prenestina, vicino Tor Sapienza, è composto da due grandi corpi di fabbrica (in rosso e in giallo nella pianta), un hangar (texture scura) e alcune costruzioni: la "casa gialla" e la kasba (in celeste). Il primo edificio della vecchia fabbrica (in rosso) è più piccolo mentre il secondo (in giallo) è caratterizzato da una stratificazione di funzioni e da grandi sale debitamente divise secondo il processo di trattamento e trasformazione della materia prima: la “carne”
Il primo edificio è occupato al piano terra da una comunità di rom. Seguendo un progetto di massima redatto da alcuni architetti, sono stati edificati vari nuclei abitativi all’interno del grande ed alto edificio; appoggiati sulla maglia strutturale originale, muri di forati dipinti di rosso o di viola definiscono spazi comuni e corridoi a “norma” in cui trovano posto attrezzi, cucine e tavoli. Lo spazio esterno, orientato a sud, che prima ospitava un roseto, è utilizzato oggi come grande cortile comune, dove le donne lavano e stendono i panni e i numerosissimi bambini giocano ed imparano a camminare. Un ragazzo ci racconta dei lavori per lo scarico e di quelli fatti per costruire le case. Il dormire in tenda che non rilassa per niente lo spirito e i turni di lavoro che tutti si sono dati per la settimana successiva.
Al piano superiore, nella casa del vecchio padrone, proprio sopra l’area dei laboratori chimici., vive una famiglia di peruviani, ogni vano è diventato una stanza, una casa, un soggiorno. C’è l’accesso al terrazzo: ampio e ben orientato da cui si vede la torre con la scritta Metropolis che domina tutto il paesaggio circostante.
Andrea dice che la fabbrica è un po’ come la foresta per un piccolo villaggio. La sopravvivenza al Metropolis è garantita dalle numerose materie prime che si trovano all’interno della fabbrica, la maggior parte di queste risorse è stata già trafugata da alcuni che poi sono scappati, ma si possono trovare ancora: metalli, scarti, macchinari. Alcuni li rivendono, altri li usano direttamente, altri ancora li lavorano per apportare nuove migliorie al proprio rifugio. Ogni angolo della fabbrica è stato setacciato, scalfito, svuotato; tenendo insieme i vari indizi con l’aiuto della storia di Andrea ho immaginato i furti e i lavori di estrazione del rame dai cavi elettrici.
Il cammino è una fusione di informazioni temporali, storie e storielle che si sono intrecciate, guerre civili, guerre sociali, assedi della polizia e dance hall accanto a Sherwood. In fondo, il Metropolis, potrebbe essere proprio considerato come un ottima e furba esperienza di autorganizzazione urbana, seppure, come dice lo stesso Andrea, è ancora alla sua preistoria.
Il secondo e più grande corpo di fabbrica è oggi utilizzato per le assemblee del collettivo dei Blocchi Precari Metropolitani e dei residenti del Metropolis. All’entrata: il cortile, un braccio di case eritree marcate con la lettera e il numero condominiale, A.2, A.3… e il posto di guardia. Nel portone principale della fabbrica sono state disegnate tutte le bandiere a rappresentanza della nazionalità di ogni inquilino. Entrando nel bell’edificio, chiaramente espressionista, si trova la sede delle assemblee. Il piano superiore è quello in cui sono previsti più progetti per una futura apertura al quartiere della giovane occupazione. Sono previste: una biblioteca, una scuola di lingua e nuove abitazioni. Gli spazi dell’ex-mattatoio sono infatti di ottima fattura e sosterrebbero facilmente un progetto di riuso funzionale. Ogni parte del complesso è stata mappata da Andrea e numerosi calcoli sono stati fatti per garantire a tutti da un minimo di 20 ad un massimo di 60 mq.
Visitando le numerose terrazze e ascoltando la ricostruzione del vecchio processo produttivo pensavo a quante fabbriche vuote possano esserci in giro per Roma, per l’Italia e a quanto sarebbero fieri certi luddisti a vederle così conciate.
Con l’occhio di chi vede cose che non esistono, Andrea ci parlava dei suoi progetti e di quelli che sono stati decisi nelle assemblee. Ogni cosa sembrava anche a me bellissima, impressionato com’ero dalla gentilezza e dal fermento con cui ci accoglievano i vari gruppi che abbiamo incontrato durante la passeggiata.
Nella casa gialla abitano alcuni africani di cui non ricordo la provenienza. Alle finestre hanno messo dei lenzuoli colorati e un’ombra stranamente australe piomba sui pavimenti e le pareti. Al piano terra abita un ucraino. Lo incontriamo indaffarato a montare la sua nuova cucina e sfoggia la scalinata imperiale appena finita di fronte la sua abitazione su Avenida della Libertà.
L’ultimo gruppo che abbiamo incontrato era costituito da alcuni uomini marocchini che cucinavano un montone appena macellato. Abitano nella kasba: un complesso di abitazioni tutte riunite attorno ad un cortile che potrebbe essere arabo. Il montone era appeso all’ingresso del cortile. Andrea ci ha raccontato che quest’estate tutti vedevano il televisore in cortile. E dei contrasti fra le comunità. Gli uomini mangiavano e bevevano vino e agitavano in aria i loro coltelli. Si compiacevano della nostra curiosità e si atteggiavano allegramente.
È stato soprattutto molto interessante sapere che il progetto in cantiere, che prevede come priorità la necessità abitativa, stia considerando alcuni modi di abitare tipici delle culture del Metropolis. Ma ancor più interessante è stato verificare come gli inquilini arredano le proprie camere e le abitazioni ed il posto che sempre di più si materializza come loro casa.
Il nostro cammino si è concluso nel grande spazio verde dove vengono organizzati i concerti della occupazione. Ha un ingresso separato e tutti sono sempre contenti di far festa. Fino a 4000 persone hanno ballato negli spazi occupati del Metropolis, molte altre ancora sono state coinvolte ed informate.
Potrei concludere dicendo che: conoscere esperienze di lavoro e di lotta come queste trasporta in una dimensione di iper-realtà che, evidentemente, riduce qualunque problema in agenda alla basica e necessaria sopravvivenza di se stessi e dei propri familiari. Affrontare problemi come quello della precarietà e del disagio abitativo è una cosa seria e molti hanno trovato metodologie alternative che si stanno sperimentando e che cercano di collaborare al processo descritto qualche post fa del “cambiamento di paradigma”. Quasi ogni cosa al Metropolis è stata negoziata, contesa, messa in discussione. Da poco si è conclusa la guerra civile, e in molti cercano di fare ostruzionismo. Ma si cominciano anche a costruire reti idrauliche e a portare ovunque l’elettricità. I bambini possono andare a scuola e uomini e donne possono lavorare nel quartiere.
La preistoria implica far riferimento a valori diversi e a necessità che spesso si considerano del tutto astratte. Implica sprofondare nell’insicurezza e nella lotta violenta fra i gruppi e prendere consapevolezza del caos.
Tutto può succedere o è già successo al Metropolis.
L.
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