Proprio oggi mi sono perso per le strade tra Ponte Galeria e il Corviale lungo una stradina che passa sotto la Roma Fiumicino e si dipana tra boschetti, pezzi di Agro Romano che ti rimandano a immagini del Pannini di secoli fa, pascoli di pecore, enormi scheletri di impianti industriali del secolo scorso, capannoni arrugginiti e nuove scavatrici che tagliano colline e smuovono terreno, abusivismo, villette in cemento armato, prostitute e lavoratori in nero alle fermate del bus che descrivono una geografia variegata dall' Est Europa all' Africa al Sud America.
E dopo tutto questo caotico guazzabuglio di "territorio vago" perso tra storie pasoliniane, appare a dominare un' altura come un castello medievale il corpo del Corviale, infinito e perfetto perchè perfetta espressione di un idea di città, di uomo e di governo del territorio. Oggi quel tentativo estremo di porre un limite alla città e di dare un identità di massa ai proletari romani appare come un sogno a mio parere ancora vivo nel contrasto tra il cemento, quegli infissi di metallo rosso e i panni appesi dalle finestre, centinaia di indumenti che danno un colore alla massa infinitamente uguale e ripetitiva del chilometro del Corviale. Oltre questo oggetto, ancora palazzine addossate una all'altra dove veramente tutto si mischia e diventa uguale e claustrofobico.
Il sogno di dare una forma e una fine alla città è probabilmente finito e superato. Non ci sono più i presupposti politici e culturali. Il pubblico non pianifica più il territorio e il bene comune è stato immolato al privato, al mercato e alla speculazione (so che non è proprio così ma un po' di retorica in questi dieci righe ci stava per finire il ragionamento).
Cosa rimane a questa città per sopravvivere ai cambiamenti, alle crisi finanziarie, ai flussi migratori, alle speculazioni e ai grandi capitali che rivoltano il territorio a loro piacimento sempre alla ricerca di terre vergini da sfruttare e da abbandonare?
La crisi che negli anni ottanta e novanta ha portato all'abbandono dei grandi complessi industriali oggi sta colpendo anche il comparto dei servizi. Dal post- fordismo, che ha portato alla trasformazione delle zone industriali della città che come ad esempio il mattatoio sono diventate produttrici di sapere, di cultura e di intrattenimento serale, al post-toyotismo che pone la questione del riuso di nuove aree della città.
A Roma sono centinaia i vani sfitti proprietà di imprese e multinazionali estere che stanno esternalizzando anche i servizi. Un esempio sono i due uffici al via del Policlinico da anni ormai inutilizzati proprietà di un'azienda francese che paga regolarmente solo la sorveglianza per evitare che gli vengano occupati i locali come già successo l'ottobre scorso. Altri esempi si posso
trovare in tutte le periferie romane dove sono molti gli uffici costruiti in aree destinate a servizi praticamente vuoti, o nei distretti produttivi come quello sulla tiburtina di cui l'ex Eutelia occupata da 4 mesi è l'esempio più lampante.
Alla vigilia del nuovo piano casa si pone una questione : favorire una nuova ondata speculatrice che consumi anche gli ultimi spicchi di agro romano o investire nella trasformazione di stabili abbandonati e sfitti per soddisfare la domanda di case? Esiste la possibilità che il comune possa effettivamente acquisire questi stabili per trasformarli in alloggi popolari o in servizi per
la città (così come proposto dai movimenti di lotta per la casa)?
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