giovedì 25 marzo 2010

Elezioni regionali 2010_il Lazio

Di seguito un report molto dettagliato dei programmi politici delle due candidate alle regionali 2010 per la regione Lazio, in materia di ambiente, organizzazione metropolitana e regionale.

Il report è stato curato da Alice Siracusa e Raffaella Manfredi e pubblicato sul sito di INU Lazio.

http://lazio.inu.it/2010/03/22/urbanistica-mobilita-casa-e-ambiente-nel-lazio-nel-prossimo-quinquennio/

domenica 21 marzo 2010

Il Metropolis


Il Metropolis è un posto incredibile. L’altro giorno al seguito di Andrea ci siamo avventurati in una visita che sarebbe più facile raccontare come un cammino.

Il Metropolis, che tra qualche giorno compie un anno, è la seconda occupazione più grande di Roma.

Nell’ex mattatoio della Fiorucci abitano infatti decine e decine di persone che cercano tutti i giorni di resistere alla precarietà e di ricostruire il proprio mondo. Varie comunità si fronteggiano, si allargano e si riproducono al suo interno.

Il Metropolis è stato occupato da alcuni rom che furono sgomberati dal campo di Centocelle, a loro si sono uniti militanti e altri senza tetto italiani, marocchini, eritrei, peruviani e sudanesi.

Nella sua interezza il complesso, sulla via Prenestina, vicino Tor Sapienza, è composto da due grandi corpi di fabbrica (in rosso e in giallo nella pianta), un hangar (texture scura) e alcune costruzioni: la "casa gialla" e la kasba (in celeste). Il primo edificio della vecchia fabbrica (in rosso) è più piccolo mentre il secondo (in giallo) è caratterizzato da una stratificazione di funzioni e da grandi sale debitamente divise secondo il processo di trattamento e trasformazione della materia prima: la “carne”

Il primo edificio è occupato al piano terra da una comunità di rom. Seguendo un progetto di massima redatto da alcuni architetti, sono stati edificati vari nuclei abitativi all’interno del grande ed alto edificio; appoggiati sulla maglia strutturale originale, muri di forati dipinti di rosso o di viola definiscono spazi comuni e corridoi a “norma” in cui trovano posto attrezzi, cucine e tavoli. Lo spazio esterno, orientato a sud, che prima ospitava un roseto, è utilizzato oggi come grande cortile comune, dove le donne lavano e stendono i panni e i numerosissimi bambini giocano ed imparano a camminare. Un ragazzo ci racconta dei lavori per lo scarico e di quelli fatti per costruire le case. Il dormire in tenda che non rilassa per niente lo spirito e i turni di lavoro che tutti si sono dati per la settimana successiva.

Al piano superiore, nella casa del vecchio padrone, proprio sopra l’area dei laboratori chimici., vive una famiglia di peruviani, ogni vano è diventato una stanza, una casa, un soggiorno. C’è l’accesso al terrazzo: ampio e ben orientato da cui si vede la torre con la scritta Metropolis che domina tutto il paesaggio circostante.

Andrea dice che la fabbrica è un po’ come la foresta per un piccolo villaggio. La sopravvivenza al Metropolis è garantita dalle numerose materie prime che si trovano all’interno della fabbrica, la maggior parte di queste risorse è stata già trafugata da alcuni che poi sono scappati, ma si possono trovare ancora: metalli, scarti, macchinari. Alcuni li rivendono, altri li usano direttamente, altri ancora li lavorano per apportare nuove migliorie al proprio rifugio. Ogni angolo della fabbrica è stato setacciato, scalfito, svuotato; tenendo insieme i vari indizi con l’aiuto della storia di Andrea ho immaginato i furti e i lavori di estrazione del rame dai cavi elettrici.

Il cammino è una fusione di informazioni temporali, storie e storielle che si sono intrecciate, guerre civili, guerre sociali, assedi della polizia e dance hall accanto a Sherwood. In fondo, il Metropolis, potrebbe essere proprio considerato come un ottima e furba esperienza di autorganizzazione urbana, seppure, come dice lo stesso Andrea, è ancora alla sua preistoria.

Il secondo e più grande corpo di fabbrica è oggi utilizzato per le assemblee del collettivo dei Blocchi Precari Metropolitani e dei residenti del Metropolis. All’entrata: il cortile, un braccio di case eritree marcate con la lettera e il numero condominiale, A.2, A.3… e il posto di guardia. Nel portone principale della fabbrica sono state disegnate tutte le bandiere a rappresentanza della nazionalità di ogni inquilino. Entrando nel bell’edificio, chiaramente espressionista, si trova la sede delle assemblee. Il piano superiore è quello in cui sono previsti più progetti per una futura apertura al quartiere della giovane occupazione. Sono previste: una biblioteca, una scuola di lingua e nuove abitazioni. Gli spazi dell’ex-mattatoio sono infatti di ottima fattura e sosterrebbero facilmente un progetto di riuso funzionale. Ogni parte del complesso è stata mappata da Andrea e numerosi calcoli sono stati fatti per garantire a tutti da un minimo di 20 ad un massimo di 60 mq.

Visitando le numerose terrazze e ascoltando la ricostruzione del vecchio processo produttivo pensavo a quante fabbriche vuote possano esserci in giro per Roma, per l’Italia e a quanto sarebbero fieri certi luddisti a vederle così conciate.

Con l’occhio di chi vede cose che non esistono, Andrea ci parlava dei suoi progetti e di quelli che sono stati decisi nelle assemblee. Ogni cosa sembrava anche a me bellissima, impressionato com’ero dalla gentilezza e dal fermento con cui ci accoglievano i vari gruppi che abbiamo incontrato durante la passeggiata.

Nella casa gialla abitano alcuni africani di cui non ricordo la provenienza. Alle finestre hanno messo dei lenzuoli colorati e un’ombra stranamente australe piomba sui pavimenti e le pareti. Al piano terra abita un ucraino. Lo incontriamo indaffarato a montare la sua nuova cucina e sfoggia la scalinata imperiale appena finita di fronte la sua abitazione su Avenida della Libertà.

L’ultimo gruppo che abbiamo incontrato era costituito da alcuni uomini marocchini che cucinavano un montone appena macellato. Abitano nella kasba: un complesso di abitazioni tutte riunite attorno ad un cortile che potrebbe essere arabo. Il montone era appeso all’ingresso del cortile. Andrea ci ha raccontato che quest’estate tutti vedevano il televisore in cortile. E dei contrasti fra le comunità. Gli uomini mangiavano e bevevano vino e agitavano in aria i loro coltelli. Si compiacevano della nostra curiosità e si atteggiavano allegramente.

È stato soprattutto molto interessante sapere che il progetto in cantiere, che prevede come priorità la necessità abitativa, stia considerando alcuni modi di abitare tipici delle culture del Metropolis. Ma ancor più interessante è stato verificare come gli inquilini arredano le proprie camere e le abitazioni ed il posto che sempre di più si materializza come loro casa.

Il nostro cammino si è concluso nel grande spazio verde dove vengono organizzati i concerti della occupazione. Ha un ingresso separato e tutti sono sempre contenti di far festa. Fino a 4000 persone hanno ballato negli spazi occupati del Metropolis, molte altre ancora sono state coinvolte ed informate.

Potrei concludere dicendo che: conoscere esperienze di lavoro e di lotta come queste trasporta in una dimensione di iper-realtà che, evidentemente, riduce qualunque problema in agenda alla basica e necessaria sopravvivenza di se stessi e dei propri familiari. Affrontare problemi come quello della precarietà e del disagio abitativo è una cosa seria e molti hanno trovato metodologie alternative che si stanno sperimentando e che cercano di collaborare al processo descritto qualche post fa del “cambiamento di paradigma”. Quasi ogni cosa al Metropolis è stata negoziata, contesa, messa in discussione. Da poco si è conclusa la guerra civile, e in molti cercano di fare ostruzionismo. Ma si cominciano anche a costruire reti idrauliche e a portare ovunque l’elettricità. I bambini possono andare a scuola e uomini e donne possono lavorare nel quartiere.

La preistoria implica far riferimento a valori diversi e a necessità che spesso si considerano del tutto astratte. Implica sprofondare nell’insicurezza e nella lotta violenta fra i gruppi e prendere consapevolezza del caos.

Tutto può succedere o è già successo al Metropolis.

L.

martedì 16 marzo 2010

Roma 13.03.10

Proprio oggi mi sono perso per le strade tra Ponte Galeria e il Corviale lungo una stradina che passa sotto la Roma Fiumicino e si dipana tra boschetti, pezzi di Agro Romano che ti rimandano a immagini del Pannini di secoli fa, pascoli di pecore, enormi scheletri di impianti industriali del secolo scorso, capannoni arrugginiti e nuove scavatrici che tagliano colline e smuovono terreno, abusivismo, villette in cemento armato, prostitute e lavoratori in nero alle fermate del bus che descrivono una geografia variegata dall' Est Europa all' Africa al Sud America.

E dopo tutto questo caotico guazzabuglio di "territorio vago" perso tra storie pasoliniane, appare a dominare un' altura come un castello medievale il corpo del Corviale, infinito e perfetto perchè perfetta espressione di un idea di città, di uomo e di governo del territorio. Oggi quel tentativo estremo di porre un limite alla città e di dare un identità di massa ai proletari romani appare come un sogno a mio parere ancora vivo nel contrasto tra il cemento, quegli infissi di metallo rosso e i panni appesi dalle finestre, centinaia di indumenti che danno un colore alla massa infinitamente uguale e ripetitiva del chilometro del Corviale. Oltre questo oggetto, ancora palazzine addossate una all'altra dove veramente tutto si mischia e diventa uguale e claustrofobico.

Il sogno di dare una forma e una fine alla città è probabilmente finito e superato. Non ci sono più i presupposti politici e culturali. Il pubblico non pianifica più il territorio e il bene comune è stato immolato al privato, al mercato e alla speculazione (so che non è proprio così ma un po' di retorica in questi dieci righe ci stava per finire il ragionamento).
Cosa rimane a questa città per sopravvivere ai cambiamenti, alle crisi finanziarie, ai flussi migratori, alle speculazioni e ai grandi capitali che rivoltano il territorio a loro piacimento sempre alla ricerca di terre vergini da sfruttare e da abbandonare?
La crisi che negli anni ottanta e novanta ha portato all'abbandono dei grandi complessi industriali oggi sta colpendo anche il comparto dei servizi. Dal post- fordismo, che ha portato alla trasformazione delle zone industriali della città che come ad esempio il mattatoio sono diventate produttrici di sapere, di cultura e di intrattenimento serale, al post-toyotismo che pone la questione del riuso di nuove aree della città.
A Roma sono centinaia i vani sfitti proprietà di imprese e multinazionali estere che stanno esternalizzando anche i servizi. Un esempio sono i due uffici al via del Policlinico da anni ormai inutilizzati proprietà di un'azienda francese che paga regolarmente solo la sorveglianza per evitare che gli vengano occupati i locali come già successo l'ottobre scorso. Altri esempi si posso
trovare in tutte le periferie romane dove sono molti gli uffici costruiti in aree destinate a servizi praticamente vuoti, o nei distretti produttivi come quello sulla tiburtina di cui l'ex Eutelia occupata da 4 mesi è l'esempio più lampante.

Alla vigilia del nuovo piano casa si pone una questione : favorire una nuova ondata speculatrice che consumi anche gli ultimi spicchi di agro romano o investire nella trasformazione di stabili abbandonati e sfitti per soddisfare la domanda di case? Esiste la possibilità che il comune possa effettivamente acquisire questi stabili per trasformarli in alloggi popolari o in servizi per
la città (così come proposto dai movimenti di lotta per la casa)?

giovedì 4 marzo 2010

Picchetti di Natale


Domenica 20/12/09

Ieri era la giornata più fredda dell'anno, a "Metropolis", la nuova occupazione sulla prenestina che da una settimane ospita 27 famiglie rom sgomberate dal Casilino 700, ho conosciuto Mohamed un simpatico signore sulla cinquantina.
Mohamed è marrocchino e vive in Italia da molti anni ma ancora è in lotta per trovare una casa.
Mohamed mi ha invitato ieri sera al picchetto che porta aventi con altri compagni e compagne dei movimenti di lotta per la casa, il coordinamento e i blocchi precari metropolitani, su via del Policlinico e lo sono andato a trovare.
Lì a via del policlinico ci sono due grandi edifici adibiti a uffici che ora sono completamente sfitti.
Una notte di fine novembre credo, mentre il gurdiano, che controllava gli edifici vuoti, dormiva beatamente, Mohamed e gli altri suoi amici sono entrati dentro uno di questi palazzi sfitti:"... che di devo dì, si stava bene, sembrava una casa vera..." mi racconta Mohamed con una accento misto arabo-romano.
Poi, qualcuno della banda dei soliti ignoti, ha detto: "...e no!!! Non potete sta lì che quer palazzo è mio!!!". Quindi li hanno cacciati hanno murato le aperture dei primi due piani del palazzo e hanno sbattutto per strada quasi 80 persone.
E tanti auguri per un felice natale e un buon anno nuovo al fresco dei marciapiedi o tra i portici di Termini e di piazza Vittorio Emanuele.
Stranamente queste fantastiche persone, che lavorano e mantengono famiglie intere:"... quando c'ha una figlia da mantenè devi magna la merda e di grazie pe avè du soldi a fine mese, io so 8 anni che lavoro tutti i giorni sabato e domenica comprese..." mi racconta Mimmo che si definisce più romano che marrocchino, dicevo, stranamente non ci stanno a dormire e a morire di freddo per strada.
Picchettano ai piedi del palazzo sfitto da cui li hanno sgomberati da almeno dieci giorni, nell'indiferenza totale dei media, troppo intenti a raccontarci quali cazzo di regali faremo, dobbiamo fare e riceveremo e quante stronze palline metteremo sullo strafottuttissimo albero di natale.
Stanno li attorno al fuoco stremati dal lavoro, dal non dormire e dal freddo.
Intorno al fuoco in mezzo a quel marciapiede ai piedi del palazzo ora murato, nell'indiferenza della città, ci sono tutte le notti e tutti i giorni da più di venti giorni, persone, donne e uomini da tutto il mondo, Perù, Equador, Etiopia, Eritrea, Marocco, Senegal, Serbia.
Per combattere il freddo ci siamo fatti un thè con 5 cucchiani di zucchero, Andrea ha portato il vino e molti di loro anche se mussulmani lo hanno sorseggiato: "...tanto Dio lo sa che bevo per scaldarmi e mi perdonerà".
Stasera Mohamed e i suoi compagni e compagne staranno lì per un'altra giornata di lotta da trascorrere tutti insieme intorno al fuoco, cercando di scaldarsi.
Si potrebbe passare lì a trovarli con un 'altra bottiglia di vino, un pò di the e dei biscotti. A loro fa piacere.
"Noi stiamo qui pe voi! Che te credi che la casa me la danno a me che so straniero! Però io lo faccio perchè me lo dice la mia coscienza".
La figlia di Mimmo ha sei anni e parla tre lingue arabo spagnolo e italiano. Nessuno di loro è cittadino italiano ma se un domani ci saranno ancora dei diritti e delle energie fresche pronte a lottare in questa povera città sarà grazie a loro.
L'ultima cosa divertente me la mostra Mohamed un foglio prestampato e timbrato dal comune che li autorizza a stare su quel marciapiede fino al 21 dicembre.

Lunedi 21/12/09

Quando si entra nel palazzo dell'assessorato a via della vergine nella sala convegni la scena è delle più surreali. Da una parte ci sono 300 persone di cui molte donne con bambini piccoli e, davanti a loro, un'immensa tavola imbandita di panettoni, spumanti e leccornie di ogni genere.
Leggo un volantino affisso in bacheca nel corridoio che da agli uffici degli assessori, divisi secondo i diversi partiti: " 21 dicembre festa di auguri per un buon natale e un felice anno nuovo".
I più svegli tra gli impiegati provano a salvare qualche cestino natalizio ma la maggior parte di questi viene fatto prigioniero dagli occupanti che li consumano senza pietà.
Vengono occupati il terzo e il quarto piano dell'edificio. Gli agenti della digos appaiono come per magia e provano a far desistere gli occupanti dalle loro intenzioni " ma perchè rischiate cosi tanto!!! Qui state commettendo un reato! Interruzione del pubblico impiego!".
Detta così non si capisce la folgorante ironia di questa affermazione. Ma dopo poco si capisce e c'è da scompisciarsi dalle risate.
Tutto il giorno per via delle vergini è un via vai di stelle di Natale, pacchi, pacchetti e paccuzzi di regalo.
Le donne che sfilano nel piano del PDL sembrano uscite dal film "la morte ti fa bella", sono un variegato compensario di chirurgia estetica, nasi, zigomi, bocche rifatte, allargate, gonfiate, pelli stirate, capelli trapiantati, etc...
Quelli del PD rimangono rinchiusi nei loro uffici ma sono sicuro di aver sentito uscire da li dentro una canzone di Bob Marley e un vago odorino di ganja! Spilorci some sono non hanno offerto niente.
Solo alcuni della lista Rutelli ci offrono il caffè. Entro nel loro ufficio: tre impiegati, uno fa il caffè l'altro legge la gazzetta ma ha sulla scrivania una pila di giornali sportivi, il terzo fissa lo schermo nero del pc.
E sulle pareti, che ci crediate o no, ci sono bandiere e tappettini con il Ché in primo piano con ai suoi lati foto e poster Totti e Falcao.
Si va avanti tutto il giorno. Gli occupanti sono stremati da 20 giorni di picchetti, molti di loro stanno saltando preziosissime giornate di lavoro. Tutti sperano in una risoluzione rapida.
Solo alle 20 di sera quando io sono già uscito stremato per tornare a casa, che si sa che i picchetti andranno avanti ancora per molto.


Caposh

domenica 14 febbraio 2010

Una muffa può aiutarci a disegnare trasporti urbani più efficienti?


Nel 2000 lo scienziato Toshiyuki Nakagaki, vincitore di un premio Nobel, ha dimostrato la straordinaria capacità di problem solving della muffa Physarum polycephalum. L’organismo cresce solitamente in ambienti freschi ed ombreggiati come le foglie in decomposizione e i tronchi. La muffa ha dimostrato di essere dotata di una intelligenza quasi primitiva ed di una capacità di auto-organizzazione che ha subito appassionato molti studiosi. Sono stati fatti vari esperimenti il più interessante dei quali è senza dubbio quello del labirinto. Posizionando del cibo nelle due uscite di un labirinto gli scienziati hanno osservato come la muffa raggiunge le uscite (e il cibo) con i suoi tentacoli passando sempre per la strada più breve. Inizialmente partono diversi tentacoli in tutte le direzioni, quelli che raggiungono il cibo si rafforzano e presentano una autonomia particolare rispetto al nucleo centrale. Tutti gli altri si ritraggono, definendo con chiarezza dei percorsi privilegiati.
Dopo aver sperimentato tale particolare abilità gli scienziati, volendo valutare la possibilità che la muffa possa "da sola" disegnare la rete dei trasporti di una città, hanno realizzato in laboratorio un esperimento mettendo un pò di muffa su una mappa in miniatura di Tokyo e posizionando del cibo (chicchi di mais) nei nodi principali della metropoli giapponese. In poco più di 24 ore la muffa ha raggiunto tutti i chicchi di mais con i suoi tentacoli, il risultato è stato molto interessante. I tentacoli hanno riprodotto infatti la rete di collegamenti ferroviari (esistenti) della città di Tokyo. Questo risultato apre nuove opportunità di ricerca e soprattutto la possibilità di applicare la particolare capacità della Physarum polycephalum a software che aiutino i tecnici che devono valutare i costi e l'efficienza dei piani di trasporto delle metropoli contemporanee.
Questo è un affascinante e furbo esempio di come l'uomo possa ancora imparare dall'osservazione della natura e dei suoi organismi.

fonti:
rivista Science numero del 22 gennaio 2010 www.sciencemag.org

martedì 9 febbraio 2010

Gli stabili pericolanti di via Giustiniano Imperatore: un caso di emergenza abitativa


La zona di via Giustiniano Imperatore a Roma è interessata, fin da quando è stata urbanizzata negli anni 50, da gravi dissesti e cedimenti del terreno che negli anni hanno causato l’inclinazione di diversi stabili nell’area, con tutti i problemi di precarietà statica che ne conseguono.
Nel novembre 2001, dopo una diffida da parte della Commissione Stabili Pericolanti indirizzata agli amministratori dei condomini affinché procedessero ai lavori di consolidamento, e in seguito ad una verifica dello stato dei fabbricati da parte dei dipartimenti di Geologia e Ingegneria dell’università Roma Tre, l’ allora sindaco Veltroni, in quanto autorità della protezione civile per il comune di Roma, emette un’ordinanza di sgombero per uno degli edifici: alle 50 famiglie sgomberate viene offerta un’abitazione provvisoria di edilizia popolare in località Santa Palomba (Pomezia).
Nel 2004, in seguito all’improvviso peggioramento delle condizioni di un secondo edificio, il sindaco emette una seconda ordinanza di sgombero e richiede, ed ottiene dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri lo Stato di Emergenza dell’area, in virtù della quale all’amministrazione e all’assessore all’urbanistica vengono conferiti poteri speciali.
Il comune indice così un appalto-concorso per il progetto di riqualificazione dell’area, vinto dallo studio svizzero DurigAgArchitects.
Nel 2005 il VI Dipartimento (Politiche della Programmazione e pianificazione del territorio) del Comune di Roma redige un Programma di riqualificazione dell’area dai contenuti sostanzialmente inediti in Italia: per la prima volta infatti il comune si fa carico di un’operazione di demolizione e sostituzione di edilizia privata. Il comune, espropriate le aree, le cede tramite bando a privati che costruiscono le nuove case da cedere ai cittadini sgomberati a prezzo concordato (circa 950 euro/mq): gli alloggi in eccesso possono poi essere venduti a prezzi di mercato. Agli aiutiprevisti dal programma possono accedere i proprietari di tutti i condomini interessati dal progetto, purché riuniti in consorzio costituito da almeno il 75% degli inquilini. Data prevista per la consegna del primo blocco di nuove case per gli inquilini già sgomberati: 2008 (ad oggi, gennaio 2010, i lavori non sono ancora finiti)
Al fine dell’informazione e partecipazione dei cittadini il comune allestisce già nel 2003 un Infobox nell’area per comunicare il progetto e organizzare incontri con i cittadini.
I Risultati
Dal punto di vista dell’amministrazione, quest’emergenza rappresenta un’occasione per riqualificare l’area senza spese per le casse comunali. Ma l’operazione contribuirà anche al più generale processo di valorizzazione delle zone che gravitano intorno all’asse della via Ostiense (Garbatella, San Paolo, Testaccio...), su cui il Comune, che qui possiede molte aree e grandi interessi, punta da anni con progetti ambiziosi (la Città delle arti a Testaccio, il polo tecnologico di Roma Tre a Valco San Paolo, il Campidoglio2 ela Città dei giovani a via Ostiense…)
Per i privati, c’è il guadagno che deriverà dalla vendita a prezzi di mercato dei tanti alloggi in eccesso previsti dal progetto, oltre che di quelli di cui gli inquilini sgomberati non si potranno permettere l’acquisto.
Gli inquilini, appunto. Quali diritti gli spettino effettivamente, non è ancora chiaro. Di certo c’è che l’assegnazione dei nuovi alloggi non è automatica ma onerosa. Che ne sarà di chi non potrà permettersi la nuova casa nonostante le agevolazioni? Per il momento gli inquilini degli edifici che rimangono si dividono: da una parte i pochi interessati alle possibilità che il comune gli offre di cambiare la loro casa con una nuova e più sicura (ma per usufruirne devono essere il 75% del totale), dall’altra i tanti, tra cui l’associazione “Vivere sulla Marrana” che protestano contro il programma e denunciano i rischi di compromissione delle fondamenta causati dai lavori per i nuovi alloggi.

Fonti:
-www.protezionecivilecomuneroma.it/sito/pagine/attivita/giustiniano_imperatore.htm
- Clarida Salvatori, “Palazzi storti. Via alla demolizione” da La Repubblica del 02/08/05
- Fabio Rossi, “Giustiniano Imperatore. Via alla demolizione” da Il Messaggero del 02/08/05
- Barbara d’Amico, “Quella storiaccia brutta dei palazzi storti” da Rivist@, 19/03/07
- Barbara d’Amico, “L’associazione Vivere sulla Marrana contro il tentativo di demolizione” da Rivist@, 02/04/07
- www.urbanistica.comune.roma.it/giustinianoimperatore/index.html

giovedì 4 febbraio 2010

Sui paradigmi


(…pensare che avevo scritto quest’intervento prima della conferenza di oggi pomeriggio sullo sviluppo locale, con molto piacere ho scoperto che il tema interessa ed apre nuove opportunità di confronto)

Mi sembra utile lanciare una discussione sulla teoria del “paradigm shift”.
Direi anzi, che oltre ad essere un buon argomento di confronto potrebbe essere considerato il vertice di una nostra dichiarazione di intenti, semmai avessimo degli intenti comuni e semmai volessimo, un giorno, radunare varie e nuove coscienze attorno ad essi. A mio avviso lo studio e l’approccio a nuove ed esaltanti teorie sarebbe vano se la nostra generazione di urban planners si limitasse ad imitare o, peggio ancora, a rattoppare le falle del paradigma “corrente”.
Per Thomas Kuhn, l’epistemologo teorico del “paradigm shift”, a differenza di quel che si pensava in passato, la Scienza non procede seguendo un moto evolutivo e la sua Storia non è altro che un susseguirsi di paradigmi dominanti e di rivoluzioni scientifiche. Nel paradigma gli scienziati cercano di far emergere dei problemi e di formulare delle soluzioni con le idee e le teorie accettate, se questi strumenti non bastano si registrano delle anomalie. L’accumulazione di anomalie porta al tentativo di capire il fenomeno in un modo completamente diverso. Nuovi approcci della comunità scientifica o l’affermarsi di una nuova comunità che guarda al problema in modo alternativo, può dare origine ad un altro paradigma. Il processo di transizione dalla “scienza normale” alla scienza rivoluzionaria e l’affermazione di quest’ultima porta all’affinarsi di costrutti teorici incommensurabili con i precedenti. È solitamente per quest’ultimo motivo che la nuova comunità scientifica fatica fortemente a confrontarsi con la precedente.
La interessante teoria di Kuhn è stata estesa a vari altri campi. La politica e la società ad esempio sono influenzate dal paradigma e a loro volta ne possono creare di nuovi sfruttando qualsiasi strumento a loro disposizione: mezzi di comunicazione di massa, denaro, o ad esempio l’ educazione scolastica. Scelgono di supportare o bombardare un paradigma a seconda delle dinamiche contemporanee.
Il paradigma è insomma un insieme di credenze, una massa fluida di problemi&soluzioni che nella vita di tutti i giorni diamo per scontate ed immutabili. Adesso, alzate gli occhi e pensate a come fareste senza tutto quello che state percependo come reale. Ora, invece, chiudete gli occhi e risalite alla causa prima dei vostri impegni giornalieri o delle vostre pulsioni esistenziali. Così facendo state appena appena stuzzicando il paradigma corrente.
Il perché questo possa interessare noi, oltre che come uomini e donne, anche come pianificatori, è presto detto: mi pare infatti che la città cresca anch’essa per paradigmi e sull’onda di possenti sistemi logici si creano consensi e possibilità di trasformazione territoriale. Volendo essere ancora più concreti e senza troppo scomodare secoli e secoli di cultura urbana, nella storia delle città italiane, dal Dopoguerra ad oggi, è possibile scorgere i diversi modi di interpretare la realtà e di concepire l’habitat ideale che si sono alternati con cadenza rivoluzionaria quasi decennale.
Nei nomi e negli slogan, ormai sedimentati nelle nostre memorie, possiamo cogliere lo strascico della propaganda che queste idee portavano con se.
Le zone di espansione, la mobilità individuale, lo zoning, gli assi attrezzati, i quartieri satellite, le sopraelevate, le tangenziali, i sottopassi, i centri commerciali, i residence, il policentrismo… tutti strumenti operativi o teorici forti (di cemento armato e d’acciaio) e collaudati, che, se non considerati troppo vintage, oggi utilizziamo con disinvoltura e un automatismo quasi istintivo, animale. Ma, pur sempre, strumenti teorizzati da una generazione di intellettuali, di professionisti e di policy makers che si trovarono a supportare le “loro” visioni nel tentativo di condurle all’egemonia culturale. Le scintille di tale pulsione scaturivano, oggi come ieri, forse dalla voglia di successo professionale, forse dal denaro, forse dall’amore per un uomo o per una donna, fatto sta che il fuoco da loro generato divampa sempre su tutto e ha generato cancrene urbane difficili da curare.
È infatti molto interessante costatare come tale “effetto pervasivo” del paradigma tappi occhi ed orecchie di fronte ad ogni notifica dei limiti offerti dalle più comuni leggi della fisica o della socialità, provocando l’incoerente perpetrarsi di schemi desueti e dannosi nell’organizzazione della produzione così come in quella del territorio e della società. L’effetto è talmente pervasivo che delle volte non ci poniamo nessun interrogativo sullo svolgere o meno un’ azione, sul firmare o meno un documento, sul tracciare o meno una riga (che nel nostro caso sarà una strada, un ponte, un muro …). Senza nessuna reticenza progettiamo case a schiera monofamiliari color beige e decidiamo in quale zona si svolgerà l’educazione, in quale germoglierà il verde, dove sarà la residenza e dove il lavoro, proponiamo riqualificazioni alcooliche per i centri urbani abbandonati e disegniamo parcheggi, parcheggi dappertutto. (Senza essere pagati … ma questo è un altro paradigma …)
Credo che mai come in questo periodo ci sia un così profondo abisso tra pratica professionale e teoria urbana. Tra i gruppi di imprenditori e studiosi. Tra i think tank internazionali o globali e i governi degli stati nazionali. È sicuramente molto interessante osservare gli effetti di questi attriti, annotarli e poterli, con perizia, visualizzare nel Tempo e nella Storia ma credo sia veramente più interessante, seguendo la lezione di Kuhn, partecipare con idee radicali alla elaborazione di nuovi strumenti e di nuovi rapporti nel reale. Credo sia comunque possibile ritagliare un po’ di tempo e di spazio per esercitarci ad essere liberi di immaginare un habitat e una società lontani dai burocratici desideri delle “magnifiche sorti e progressiste”, tastandone la fattibilità con un metro che non sia necessariamente matematico ma piuttosto esperienziale. L’utilità di tale sperimentazione non è banale e potrebbe se non altro allenare alla indipendenza del pensiero progettuale e alla creazione di nuovi ed originali approcci alla società, alla natura e all’economia, che abbiano sempre caratteri modellati sul territorio in cui operiamo.
Spesso mi chiedo se anche voi ne sentite il bisogno. E se non pensate che forse si potrebbero usare gli strumenti a nostra disposizione (zone franche virtuali, disegno, software, inchiostro, esercitazioni accademiche, conferenze …) per alzare i livelli di questo scontro fra teorie e scagliare i nostri nuovi discorsi contro le anomalie di cui abbiamo esperienza quotidianamente, contrastando la riproduzione ed il perpetrarsi di schemi superati ed obsoleti.
Ecco, forse questo potrebbe essere uno dei nostri intenti in comune.